“… la luce! La luce! La luce : era la sua ossessione , la luce ! La sfida quotidiana da accettare con entusiasmo mescolato ad una stilla di paura. La gioia di riuscire ad intrappolare nelle mescolanze oleose l’ irridescenza della materia raffigurata sulla tela, era oscurata da palpiti ritmati, provocati dal timore velenoso di fallire. La sconfitta era in agguato ; un serpente nero ed insidioso, pronto ad ingoiare ogni bagliore, anche il più tenue . Il quadro, allora, sarebbe stato solo un dipinto , e mai più avrebbe avuto la vita palpitante di un bar illuminato nella brillantezza della sera, o la profondità densa di un’ ombra che rivela delicatamente il brillío di uno sguardo. La luce era anche la sua unità di misura. Attraverso di essa egli sceglieva i suoi modelli, decidendo, in modo sicuro, chi potesse diventare carne e vita in una scena , attraverso miscugli dal sapore alchemico. Nei giorni migliori, era capace di creare campiture audaci : gli era possibile oscurare il giallo di cadmio , mantenendone però la brillantezza fino alla fusione con il violetto più intenso, e questo gli procurava vertigini di piacere. La luce del suo studio assumeva anche una capacità magata di trasformarsi in fragranze e materia. Ogni oggetto, di quell’ambiente assumeva consistenza grazie al gioco della luminosità ovattata che sembrava plasmarlo, e l’odore intenso di resine, di essenze straniere e di vernici veniva anch’esso generato dalla luce delle due grandi finestre…”